NOMADE CON RADICI
Marco Dallari intervista Augusto Daolio


La casa di Augusto, nel centro di Novellara, è già un significativo ritratto. O meglio, sembra un diario. I mobili sono un po' antichi, unpo' moderni, un po' semplicemente vecchi, di quelli della casa dei nonni. Alle pareti, e un po' ovunque, quadri, disegni, sculture, oggetti della memoria. Per ciascuno c'è una storia da raccontare, hanno tutti qualcosa di personale e vissuto. Sculture dell'amico Graziano Pompili,disegni dell'amico Ro Marcenaro, una foto "di quella volta che io e Beppe Carletti...". Persino un mobile finto "country 800", fabbricato in Veneto pochi anni fa, diviene personale, e dunque vero, dato che "Rosy e io abbiamo chiesto che non lo verniciassero. Così è rimasto di legno grezzo...".
Rosy sta preparando il the in cucina mentre la sua cagnotta di nome Bella (una bassotta tedesca con baffi e pelo ispido molto bella per davvero) mi guarda con ostilità e minaccia di mordermi se tento di accarezzarla. Si strofina invece su Augusto comportandosi, poco dignitosamente, più da gatto che da cane. L'intervista comincia; non trascriverò le mie domande ma soltanto le risposte e le riflessioni di Augusto raggruppate per argomenti.
 

IL VIAGGIO, LA CASA, LA MEMORIA:

Non ho foto di infanzia perché, quando ero piccolo io, si fotografavano soltanto i ricchi. Le pochissime che ho sono in posa, per qualche ricorrenza. Non so neanche più dove sono, ma non dicono molto. Ai tempi della scuola avevo un carattere selvatico. La mia natura mi spingeva a fare tutto il contrario di quello che si doveva. Insofferenza per la disciplina, voglia di scappare... Ho cominciato ad avere un buon rapporto con i libri solo quando non dovevo più leggerli per dovere. Da allora, per una sorta di ripicca o di rivincita morale, ho incominciato ad interessarmi di arte, di libri, di cultura, a sentire un fuoco curioso che non si raffredda mai, un'attrazione verso il sapere cresciuta solo dopo l'abbandono degli studi regolari.

Negli anni scolastici quello che mi interessava davvero erano il disegno a mano libera e la musica. Son anche state le sole materie che mi hanno salvato dalla catastrofe scolastica. Venivo ammirato perché sapevo disegnare e cantavo con voce intonata e strana. Allo stesso tempo ero oggetto di una specie di commiserazione perché non sarei mai diventato un ragioniere, un perito agrario, non avrei mai fatto l'università.

La mia terra, le radici, il poter ritornare dopo ogni viaggio per me è molto importante.Così come è importante il potere, anzi il dovere andarsene sempre, conoscere sempre gente e posti nuovi.

Mi ha "insegnato"a dipingere Vivaldo Poli, un pittore Novellarese ora scomparso. Aveva lostudio nel castello, e una radio bellissima. Parlava spesso in dialettocon molto gusto per il suono.

Il gusto per l'ironia, per lo scarto improvviso, per il paradosso l'ho coltivato assieme ad un mio amico di Novellara: Romano Pasqualotto.

Quando guardo la campagna larga, lunga, infinitamente piatta all'orizzonte, provo una strana nostalgia per un paesaggio di foreste e di grandi alberi che danoi forse non è esistito mai.
 

LA MUSICA E LA PITTURA:

Nelle canzoni che scrivo, oltre a cantarle (ma non so se sono davvero un autore di canzoni)racconto delle storie, delle favole. Anche quando dipingo cerco di raccontare qualcosa. Ma il racconto è così minimo, sono cosìminimi gli agganci, che del racconto, nel quadro, restano solo i simboli, gli ingredienti. E' come se io fossi due persone che vivono in mondi lontanie molto diversi. Queste due persone possono incontrarsi, e scoprire che hanno le stesse sensazioni, gli stessi sentimenti e vibrazioni anche se si esprimono in maniera differente.

La mia ricerca artistica, sia musicale che pittorica, cerca soprattutto l'immediatezzae il riscontro che deriva dal rapporto con le persone, dallo scambio. Mi piace pensare che il linguaggio e la possibilità di esprimersi creativamente, artisticamente, sia una necessità. Io lo pratico anche come una specie di disciplina.

Dei miei amici artisti mi interessano le opere, ma mi interessano soprattutto loro come persone. Quando tu mi chiedi se di Graziano Pompili mi piacevano dipiù le "archeologie" che faceva prima o le immagini più astratte delle case di marmo con l'ombra di ferro che fa adesso non so risponderti. Oppure ti rispondo: conosco Graziano e mi fido. Dunque qualsiasi cosa possa fare merita la mia fiducia. Mi interessa il lavoro perché lo conoscoe sono coinvolto dalla persona. E' chiaro che non posso conoscere tutti quelli di cui leggo i libri o vedo i quadri. Magari sono non veri, magari bugiardi, ma mi piace cercarli e pensarli come persone. Per me l'opera senza l'uomo che l'ha fatta non ha interesse.

La porto alta come un pennacchio sventolante al vento questa bellissima storia di musica. Importante, perché attraversa tre o quattro generazioni, caricandosi sempre di valori nuovi, senza cedere niente alla nostalgia.
 

NATURALE, SOCIALE:

Ho imparato a guardare il cielo nelle notti durante i miei molti viaggi: stellato, nuvoloso, chiaro, illuminato dalla luna, minaccioso, vicino, lontano, amico...

La civiltà moderna è davvero molto violenta. Esercita la sua violenza sull'uomo e sul mondo. La natura dell'uomo e tutta la natura ne sono offese, sconvolte. La poesia, l'arte, la cultura possono essere bonificatrici, ma devono partire dall'uomo, causa e vittima di questo scollamento.

Sono esistite e poche felici? Non lo so, e sento molto disagio, molta fatica di vivere.Mi sento responsabile della mia parte.

L'albero trae forza e nutrimento dall'oscurità della terra silenziosa e misteriosa. Essere metafisico. Esce dalla terra acquistando corpo fragile e robusto, si spinge verso l'alto. Essere fisico. Rompe in una specie di delirio fantastico di rami, foglie, teneri germogli, gemme. Essere poetico.

Ho sempre frequentato musei, gallerie d'arte, fiere. Quelle erano le mie lezioni di Storia dell'Arte. Ho sempre ascoltato molto, guardato, osservato, e mi sono sempre lasciato sedurre dalla natura, sentendomi parte di essa. Fisicamente, voglio dire. Ho provato stordimenti e capacità visionarie, mi sono abbandonato agli odori della terra, dell'erba, della corteccia degli alberi. La mia piccola natura sente tutto lo sconvolgimento di un temporale di primavera.
 

L'intervistaè finita, arriva il the, profumato e buonissimo.
Guardo gli occhi di Rosy, chiari e stupendi, e mi verrebbe voglia di aggiungere una domanda sull'amore, sul suo senso, sulla sua presenza nella vita di Augusto Daolio. Ma lascio perdere, non soltanto perché il "rischio rotocalco" è sempre in agguato, ma anche e soprattutto per rispetto del segreto e del mistero che l'amore, come l'arte, porta sempre con sé. Meglio dunque contemplarli, l'arte e l'amore, in rispettoso e discreto silenzio.

Marco Dallari