agosto 1998
Associazione "Augusto per la vita" - Via De Amicis, 44 - 42017 NOVELLARA (RE)
conto corrente postale 14395420


UN INCONTRO IMPORTANTE:
I LAKOTA

Sono grata alla Lega di S. Francesco, a Claudia e Maurizio di avermi permesso di incontrare ed approfondire la mia conoscenza con gli indiani Lakota . Debbo dire che il primo grazie lo debbo a Stefano Dallari l’amico della Casa del Tibet che mi invitò a partecipare nel maggio ’97 ad alcune serate che si svolgevano a Reggio e provincia per divulgare la cultura Lakota . Erano per me notizie, quelle che loro ci portavano, sconvolgenti, di intere popolazioni sterminate a milioni, con una informazione pubblica in proposito, scarsissima. Ammetto la mia grande superficialità quando pensavo a loro e di come doveva essere difficile la vita con la costrizione dei confini. Mi sfuggiva o non pensavo a tutti gli altri problemi che li affliggevano, primi tra tutti l’alcool, la droga e le loro radici che stavano scomparendo. Incontrandoli, mi sono emozionata per i grandi valori che sapevano trasmetterci nonostante i soprusi patiti, ed ho capito che avrei voluto fare per loro qualcosa, ma ho rimpianto soprattutto che Augusto non potesse dividere con noi quei momenti. Con lui avevo visitato Londra nel 1977 un museo storico degli indiani, l’ Hayward Gallery, ed ho ben vivo nella mente, quanto tutto questo l’avesse colpito. Gli amici Lakota sono ritornati, c’è stato l’incontro con i Nomadi, i Fans prima di alcuni concerti potevano ascoltarli e vederli ballare. Era davvero molto bello. Ad Assisi durante la mostra di Augusto, Duane e Florentine avevano cantato e pregato, ho provato un gran senso di gratitudine per quello che loro riuscivano a trasmetterci anche con una lingua così incomprensibile. Nel maggio di quest’anno sono stati di nuovo tra noi, e siamo riusciti ad averli a casa nostra, Novellara, dove al mattino nel teatrino della Rocca si sono incontrati con i bambini delle scuole, e la sera in piazza per i canti e le danze. Sono certa che come per me, a tante altre persone, qualcosa di loro era entrato nelle nostre case, e mai lo avremmo dimenticato. Ecco perché quando gli amici della Lega di S. Francesco mi hanno chiesto di unirmi a loro in luglio per andare alla Danza del Sole in Sud Dakota, non ho avuto dubbi. Sapevo che questa era la cerimonia più importante per loro e che non sarebbe stata vissuta come una gita, ero certa che mi avrebbe colpito emotivamente, ma non immaginavo fino a che punto. La Danza del Sole è un rito di ringraziamento, un modo  per mostrare a Dio la propria sottomissione, implorare guarigioni, chiedere una vita migliore per tutti. La Danza e un veicolo per il risveglio interiore. oltre a rappresentare una prova di resistenza fisica davvero ai limiti del sopportabile. Per quattro giorni, a volte sotto condizioni atmosferiche insopportabili, o il sole cocente delle Grandi Pianure o come quest’anno sotto una pioggia battente per tre giorni, astenendosi da qualsiasi cibo o bevanda, uomini e donne (i danzatori) si sottopongono ad un massacrante rituale per conquistarsi la benedizione del Grande Spirito. Con canti. danze, invocazioni e offerta della propria carne, ciascun officiante cerca di fondersi con il creatore. Vedendo tutto questo riflettevo e pensavo che questa cerimonia non era poi così lontana dalla nostra religione cattolica, dove il sacrificio del corpo di Cristo è offerto per espiare le colpe degli uomini. Spiegare cosa si provi ad assistere a  questa cerimonia è difficilissimo. ma qualunque sia il tuo Credo ti senti parte di loro. Una grande energia ti avvolge mentre assisti alle danze ed è impossibile restare immobili, ti sembra che, danzando, li aiuti a sopportare il peso di quel sacrificio. Il quarto giorno (l’ultimo della danza) ci siamo sentiti tutti onorati quando Don Mocassin ci ha chiamati nel cerchio dei danzatori per sostenerlo nel sacrificio, con le nostre preghiere, danzando alle sue spalle e confesso la mia commozione quando la sera successiva a casa sua ci disse che le preghiere e il suo sacrificio erano rivolti ad Augusto. Il sacrificio della carne consiste nel farsi praticare dal Medicin Man due tagli sul petto dove vengono inseriti due bastoncini di legno durissimo che a loro volta vengono attaccati con una fune all’albero al centro del cerchio, alla fine della danza che dura mediamente un’ora, il danzatore può decidere di strapparsi o rimanere attaccato all’albero anche per quattro giorni. Per liberarsi deve portarsi con forza all’indietro finché la sua carne non si lacera. Di 20 giorni trascorsi in Sud Dakota ed in Nebraska certo ricordo tante cose, i paesaggi sconfinati delle Badlands, la natura rigogliosa delle Black Hills, la montagna di Crazy Horse, ma la luce dei quattro giorni della danza del sole non la scorderò mai, come il giorno in cui Gregory (per chi era ad Assisi l’indiano che suonava il flauto) andammo a Bear Butte, la montagna spettacolare che gli indiani considerano sacra, dove si ritirano a pregare e cercare visioni. Siamo saliti per diversi chilometri tra fiori e alberi mai visti, sentendo profumi fortissimi, Gregory ci faceva strada a volte suonando il flauto che emetteva suoni a momenti dolcissimi ed altri laceranti. Percorrendo il sentiero che portava in cima, tanti erano i segnali che le persone avevano lasciato come preghiera, una striscia di stoffa legata ad un ramo, una pietra messa in un modo particolare o un’offerta di tabacco. Il cielo era piovoso e la nebbia copriva e scopriva la vallata sottostante a volte lasciando intravedere un paesaggio che lasciava senza fiato. Man mano che salivamo vedevo che i visi dei miei compagni si trasformavano, ci siamo proprio sentiti bene lassù ed ognuno a suo modo ha pregato. Non dimenticherò nemmeno l’ospitalità di Duane che nonostante il suo impegno e fatica per la sua Danza del Sole, trovava tempo da dedicarci per farci capire alcuni rituali a noi misteriosi, ed il grande raccoglimento quando durante un temporale siamo stati ospitati nel suo teepee. Non dimenticherò la simpatia e la disponibilità di Enzo Braschi, che nel nostro gruppo non rappresentava solamente un simpatico compagno di viaggio, ma anche un colto conoscitore della cultura indiana, mai restio a spiegarci anche le cose a lui forse più ovvie. Ma cercherò di non dimenticare come anche nostra sia la responsabilità di ciò che accade e che anche a piccoli passi si può arrivare lontano, il nostro cammino è iniziato, e come dice Enzo nel suo ultimo libro,
“facciamo rivivere l’indiano che è in noi”.
Rosy